Nel 2017, Microsoft ha brevettato un chatbot ideato per resuscitare digitalmente i morti.
Utilizzando l’Intelligenza Artificiale e l’apprendimento automatico, il chatbot sarebbe in grado di riportare in vita una persona in forma digitale, consentendole di parlare ed interagire con l’interlocutore.
Questi chatbot gestiti dall’Intelligenza Artificiale, pur non ancora commercializzati, hanno però già superato il ‘Test di Turing’: nel senso che riescono ad ingannare altri umani facendo loro credere di essere a loro volta umani.
La considerazione più eclatante in materia è che oggi, la maggior parte delle persone, lascia volontariamente dietro di sé tutti i dati personali sufficienti a permettere la duplicazione credibile di se stessa: gli scritti e gli interventi pubblici sui social, infatti, possono gradualmente insegnare ai programmi di Intelligenza Artificiale tutti i nostri schemi relazionali e conversazionali, facilmente riproducibili in maniera credibile.
Il contenuto duplicabile riguarda sia gli scritti, sia le immagini ed eventualmente i messaggi vocali: questi ultimi possono essere utilizzati per creare una complessa rappresentazione vocale, e parenti ed amici potrebbero formare il convincimento di parlare davvero con il defunto, attraverso un telefono o un robot umanoide.
La tentazione per famiglie e amici, afflitti dal dolore di una perdita, risulterebbe essere troppo potente, ed in futuro le aziende private sarebbero in grado fornire l’opzione in forma onerosa: rassegnarsi alla morte della persona amata, o invece pagare per farla rivivere.
Queste circostanze si legano al fatto che il diritto alla privacy, riferito ai dati personali dopo la morte di una persona, è ancora non regolamentato da legislazione specifica: attualmente, non c’è modo di poter rinunciare preventivamente ad essere ‘resuscitato’ in seguito.
Alcune iniziative private hanno tentato di risolvere il problema dei dati post-mortem, consentendo agli utenti in vita di prendere decisioni che riguardano il proprio account dopo la propria dipartita, con tutti i dati annessi, con l’intento di evitare future battaglia giudiziarie sui dati di persone, celebrità o persone comuni.
Ma questo non sostituisce certo una legislazione strutturata.
Un modo apprezzabile per migliorare la legislazione sui dati post-mortem potrebbe essere quello di seguire l’esempio della donazione degli organi. La legge britannica “opt out” sulla donazione degli organi risulta particolarmente rilevante: gli organi dei morti di considerano donabili, a meno che la persona non abbia espresso diverso avviso quando era ancora in vita. Questo modello risulta un accettabile equilibrio tra la considerazione della privacy dei morti, rispetto all’eventuale desiderio degli eredi di alimentarne la memoria.
Ultima questione, non meno rilevante, concerne l’aspetto etico e le implicazioni a livello psicologico: la scienza ha sempre insegnato che riportare le persone indietro dalla morte è al di là della portata anche degli scienziati più morbosamente ambiziosi. E quale utilità potrebbe avere, invece, alimentare una finzione o un’illusione?
Non si avrebbe soltanto la funzione poco più elaborata e verosimile di un medium che si dice in grado di comunicare con l’aldilà? Un ciarlatano digitale?
Se invece i nuovi soggetti acquisissero una personalità propria, quale rapporto avrebbero con il soggetto utilizzato come matrice? E come potrebbero essere definiti i rapporti affettivi instaurati con i parenti e gli amici della persona defunta?
Ancora una volta, l’Intelligenza Artificiale pone più domande che risposte, rispetto alle concrete questioni applicative, e l’elaborazione umana si trova impreparata ad affrontarne tutte le implicazioni e le conseguenze anche a breve termine.