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Intelligenza artificiale Vs covid 19

By Febbraio 5, 2021No Comments

Il ruolo dell’intelligenza artificiale sembra risultato tutt’altro che centrale nel contrasto alla diffusione della Covid-19, nonostante le premesse iniziali molto incoraggianti.

Fin da subito l’intelligenza artificiale è stata schierata nella lotta al Coronavirus, principalmente individuando i seguenti ambiti:

  1. Incrociare i dati epidemiologici, predisporre modelli, cercare correlazioni, localizzare con prontezza i focolai esistenti ed arrivare a prevederne di nuovi.
  2. Individuare applicazioni per l’enforcement del distanziamento sociale nei contesti aziendali o addirittura, sempre con lo stesso scopo, sostituire l’uomo nei luoghi ad alta intensità di lavoro.
  3. Ricercare e sviluppare la diagnostica, le terapie anti-Covid, i vaccini.

ANALISI ED ELABORAZIONE DEI DATI SULL’EPIDEMIA.

Fin dalle fasi iniziali del contagio, Governi ed istituzioni sovranazionali hanno promosso l’apertura di archivi dove raccogliere articoli scientifici, dati e analisi sull’andamento dell’epidemia. Negli Stati Uniti è nato “Covid-19 Open Research Dataset”, la più vasta raccolta di pubblicazioni scientifiche relative alla pandemia del Coronavirus, con la collaborazione di università e imprese hi-tech.

Il CORD-19 include diverse decine di migliaia di articoli, di riviste peer-reviewed e fonti come bioRxiv e medRxiv (siti web in cui gli scienziati possono pubblicare ricerche, in attesa di essere sottoposti a revisione o elaborazione ulteriore).

In Europa, in cooperazione con diversi partner, è stata predisposta una piattaforma europea di dati sulla Covid-19, per consentire una raccolta rapida e un’ampia condivisione dei dati di ricerca disponibili. La nuova piattaforma metterà a disposizione un ambiente paneuropeo e mondiale estremamente autorevole ed affidabile, in cui i ricercatori potranno conservare e condividere sequenze di Dna, strutture proteiche, dati della ricerca pre-clinica e sulle sperimentazioni cliniche, come pure i dati epidemiologici.

In Cina fin da subito è stato lanciato un programma di lotta alla Covid-19 basato sull’intelligenza artificiale, grazie anche ad una normativa sulla privacy più tollerante di quella vigente in Europa– per usare un eufemismo – e ad un’organizzazione più centralizzata nella raccolta di dati. Per esempio, intelligenza artificiale è stata da subito utilizzata per controllare il rispetto delle misure di quarantena, per individuare i soggetti potenzialmente positivi, o per studiare algoritmi predittivi che permettessero di tracciare l’evoluzione dell’epidemia.

Nell’aprile del 2020, dunque al culmine massimo dell’emergenza (almeno in Europa), l’OCSE ha pubblicato un breve trattato per relazionare sugli usi dell’intelligenza artificiale messi in campo in tutto il mondo per contrastare la Covid-19. Considerato il poco tempo di reazione di amministrazione pubbliche, centri di ricerca e privati, il quadro tracciato dall’OCSE sembrava attestare un progresso insperato: per la prima volta alle prese con una crisi di simile portata, le amministrazioni pubbliche avevano saputo rispondere in brevissimo tempo con l’utilizzo di una tecnologia adeguata ed all’avanguardia.

Andando però a verificare le singole applicazioni citate nell’analisi, a pochi mesi di distanza, è lecito nutrire diversi dubbi sull’ottimismo di partenza. Come è stato scritto dai più importanti studiosi della materia, l’IA non ha ancora gli strumenti adeguati per contribuire in modo significativo alla battaglia contro il virus.

Il primo motivo di questa deludente applicazione pratica per l’IA è legato alla semantica del dato.

Diversi metodi di raccolta delle informazioni inquinano la qualità dell’informazione e rendono fallaci i tentativi di ricerca di pattern. Se i tamponi vengono presi su cluster di pazienti diversi, diventa complicato studiare gli andamenti per chi si occupa della ricerca. Per fare previsioni sulla Covid-19 occorre un sistema capace di entrare nel merito del fenomeno e dei suoi meccanismi. La maggioranza dei modelli utilizzati dagli scienziati è, infatti, di derivazione dall’epidemiologia matematica.

L’intelligenza artificiale funziona anche senza conoscere la matematica, o le regole di funzionamento dell’ecosistema che intende studiare. Gli algoritmi di Amazon, per fare un esempio, non sanno nulla di marketing; ma, grazie alla mole di dati cha analizzano, sono in grado di studiare e ottimizzare la logistica.

Il secondo motivo è legato alla dimensione quantitativa dei dati. Non esistono milioni di pandemie, per fortuna, ma solo alcune. Di queste non esistono raccolte dati con metodi strutturati, sistematici e paragonabili nel tempo, come nel caso della Covid-19.

Terzo motivo: gli algoritmi hanno bisogno di tempo per allenarsi e diventare più precisi, grazie ai dati che riescono ad assimilare. È dunque evidente che danno i risultati migliori di fronte a eventi ricorrenti e che si presentano con parametri regolari. Sotto questo profilo, la Covid-19 rappresenta un terreno estremamente impervio, perché allo stesso tempo nuovo ed estremamente irregolare.

ENFORCEMENT DEL DISTANZIAMENTO SOCIALE

Non molto dissimile appare essere la sorte dell’altra possibile applicazione di cui si è tanto discusso negli scorsi mesi, il contact tracing.

Al di là del fatto evidente che, dopo tante discussioni in grado di spaccare a metà i decisori e gli esperti di mezzo mondo, i risultati concreti sono ben miseri: il contact tracing è al momento prevalentemente umano, almeno in Italia, anche a causa della limitata diffusione dell’app ‘Immuni’, ed il ruolo dell’intelligenza artificiale sembra essere tutt’altro che centrale.

Più utile è stato l’uso che i social media hanno fatto dei filtri basati sull’intelligenza artificiale per contrastare le fake news a briglia sciolta: con qualche successo parziale ancorché non risolutivo, come testimoniano le tante propagazioni in rete di palesi scemenze spacciate per tesi scientifiche (tra le più sgangherate, l’associazione del 5G alla diffusione della Covid-19).

Modeste se non nulle, invece, sono apparse le capacità predittive dei modelli di intelligenza artificiale sulla diffusione del virus.

Come gli esperti sanno benissimo, non esiste un unico strumento di intelligenza artificiale che possa replicare e possibilmente fare meglio della mente umana (in altre parole, la cosiddetta intelligenza artificiale ‘forte’ è ben lungi dall’arrivare). Quelle che noi abbiamo di fronte, come testimonia la relazione OCSE, sono tante applicazioni specifiche, che in alcune circostanze già battono le corrispondenti capacità umane (altrettante versioni della cosiddetta intelligenza artificiale ‘debole’).

Ma nella vicenda pandemica, questo fatto diminuisce o vanifica l’aiuto che può offrire la tecnologia. È come avere una massa di persone che in maniera scoordinata provano a spostare un grosso peso. Molto più difficile farlo, rispetto a un nucleo ristretto di braccia che si muovono con sincronismo. Più le applicazioni sono specifiche e di nicchia, minore è il contributo che complessivamente possono dare per vincere una sfida così complessa ed epocale.

E lo stesso discorso vale per le applicazioni previste per l’enforcement del distanziamento sociale nei contesti aziendali o addirittura, sempre con lo stesso scopo, la capacità di sostituire l’uomo nei contesti ad alta intensità di lavoro.

In questi ambiti, l’irregolarità sociale è alla base del fattore che sta limitando un dispiegamento efficace dell’intelligenza artificiale. Al di là delle possibili differenze in termini di carica infettiva, oggetto ancora oggi di acceso dibattito tra i massimi virologi, le modalità di contagio di un’epidemia variano in base ai diversi contesti culturali.

Lo ha scoperto sulla propria pelle il gruppo di ricerca con sede a Boston che ha ideato quella che sembrava un’idea risolutiva per contrastare il virus Ebola, che a quel tempo infestava soprattutto la Sierra Leone: utilizzare gli algoritmi di intelligenza artificiale per monitorare e prevedere la diffusione della malattia. Al tempo la piattaforma HealthMap fu accolta dai media come una svolta contro un virus mortale che compare ciclicamente nell’Africa equatoriale. Tuttavia, i risultati si sono rivelati rapidamente deludenti. Per una ragione semplice e frustrante: il team interdisciplinare di scienziati, astrattamente uno dei più preparati al mondo per lavorare con successo su questo fronte, era incappato in due assunti completamente sbagliati. In primo luogo, aveva dato per scontato che una malattia come l’Ebola si comportasse come la malaria e si diffondesse quando gli esseri umani si muovevano; inoltre, presumeva che, se i telefoni cellulari di cui monitoravano gli spostamenti con il GPS fossero in movimento, anche i loro proprietari stessero viaggiando con loro. Entrambe le ipotesi si sono rivelate ampiamente fallaci.

DIAGNOSTICA, TERAPIA E PREVENZIONE.

Il terzo e ultimo campo di analisi sulle applicazioni pratiche dell’IA nell’ambito della crisi epidemiologica è quello che, per il momento, ha riservato i risultati migliori: è stata infatti sviluppata un’intelligenza artificiale capace di riconoscere i malati di Covid-19 dalle radiografie dei polmoni. Dieci volte più veloce dell’occhio umano nell’analizzare le immagini, produce risultati con un’accuratezza pari all’82% (dunque, superiore anche del 6% rispetto a quella raggiunta dai medici radiologi). Lo dimostra sulla rivista Radiology uno studio condotto dai ricercatori della Northwestern University, che hanno reso l’algoritmo pubblico per permettere a chiunque di svilupparlo ulteriormente in vista di un suo potenziale uso in ambito clinico.

Non si tratta di sostituire l’attuale metodo di test con i tamponi, ma quello di offrire uno strumento complementare per fare lo screening dei pazienti ammessi in ospedale per ragioni diverse da Covid-19.

Le radiografie sono esami di routine, sicuri e poco costosi. Il sistema approntato impiegherebbe pochi secondi per esaminare un paziente e stabilire se debba essere isolato. In questo modo, si ridurrebbe il rischio di contagio per gli operatori sanitari e gli altri pazienti ricoverati. Ci possono volere ore o giorni per avere i risultati del tampone, ma nel frattempo l’intelligenza artificiale può segnalare l’alta probabilità di esito positivo per velocizzare il triage ancora prima che arrivi l’esito del tampone.

L’algoritmo DeepCOVID-XR ha infatti imparato a riconoscere l’impronta di Covid-19 sui polmoni dopo aver esaminato più di 17.000 radiografie del torace. Una volta completato l’addestramento, il sistema è stato messo alla prova su 300 nuove radiografie e la sua performance è stata confrontata con quella di cinque radiologi specializzati. I medici hanno impiegato dalle due alle tre ore e mezza per valutare le radiografie, raggiungendo un’accuratezza del 76-81%. L’intelligenza artificiale, invece, ha impiegato solo 18 minuti raggiungendo un’accuratezza dell’82%.

Per concludere una prima trattazione delle applicazioni dell’IA nella lotta alla Covid-19, come è stato scritto in letteratura scientifica, nonostante alcuni risultati positivi ed incoraggianti, occorre riconoscere che per questa pandemia l’intelligenza artificiale non era pronta.

Per la prossima sarà diverso.

McService

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